Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 4/03/2020, ha accolto un importante ricorso patrocinato dallo Studio Legale Cundari, dichiarando il diritto del ricorrente alla conversione del proprio contratto a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato, condannando le società convenute alla propria riassunzione ed al risarcimento del danno.

Nello specifico, il ricorrente lamentava la nullità dei contratti a tempo determinato stipulati con il datore di lavoro per violazione dell’art.5 comma III D. Lgs 368/2001 a causa del mancato decorso del termine minimo di 20 giorni tra la scadenza di un contratto e l’inizio del successivo, riferito all’intero gruppo di imprese.
Il Giudice, condividendo le tesi dei difensori del lavoratore, ha rigettato l’eccezione di decadenza sollevata dalla controparte, ritenendo che nelle ipotesi di violazione di commi 3 e 5 dell’art. 32 D.Lgs. 368/2001 non sia applicabile il termini di decadenza di 60 giorni per l’impugnativa del contratto a termine.
Ed invero, l’art.6 della L.604/1966, come modificato dall’art.32, I co L.183/2010, recita: “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’ essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.”
L’art.32 co III, ratione temporis vigente prevedeva: “Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni.”
L’art.32, co III non richiama gli artt. 3 e 5 del D. Lgs n.368/2001 ai fini dell’applicazione del termine decadenziale, per cui il Tribunale di S. Maria C.V. ha ritenuto opportuna la scelta di aderire alla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte di Cassazione, che nega l’applicazione del regime decadenziale alle violazioni della disciplina sui contratti a tempo determinato previste dagli artt. 3 e 5 del D.Lgs 368/01, in quanto non espressamente richiamati nel I comma dell’art. 32 citato.
Il ricorso, pertanto, è stato accolto risultando evidente che il termine decadenziale di cui all’art.32 cit. non trova applicazione in fattispecie, come quella in esame, in cui si censuri la violazione dell’art.5, comma III l.368/2001, talché le relative eccezioni formulate sul punto dalle convenute, sono state ritenute prive di fondamento.